IL RICORDO SIAMO NOI

RIFLESSIONI SUI PRIMI CONTATTI AL CAFFE’ D’ENRICHETTA DI TERMOLI

È il mese di maggio quando, tra attese e progettualità, questa nuova esperienza, che sa un po’ di sfida, prende forma. Sulla distesa di sabbia della possibilità la voglia di fare, di esserci, inizia a lasciare piccole orme.

Il primo giorno al Caffè d’Enrichetta è un po’ come il primo giorno di scuola. C’è chi è ancora un po’ assonnato arriva con incedere cadenzato, chi è un po’ in ansia perché deve salutare per qualche ora il proprio caro, chi euforico per i nuovi compagni di viaggio trovati. Ognuno ha il suo tempo, ognuno il proprio sentire, ognuno è semplicemente se stesso con il suo “zaino” personale, contenente ricordi sbiaditi  come il colore di vecchie foto ritrovate tra credenze dimenticate.

Ogni risata ha il suo suono, ogni mano il suo calore, ogni guancia il suo profumo.

Dall’altra parte, però, non c’è nessun professore, nessuna cattedra, nessuna formulazione di giudizio. Ci sono volontari, che, con quel registro speciale chiamato cuore, trascrivono attimi di condivisione. L’inchiostro dell’empatia traccia solchi, lascia segni in quella mente spesso stanca di sentirsi definita come malata e sofferente.

Si è lì tutti insieme, si forma un cerchio intorno ad un tavolo, ci si riunisce e, come in un momento conviviale quando ci si ritrova ad esempio nei pranzi di famiglia, si parla di episodi di vita, di nascite, di matrimoni, si parla di quanto di più straordinario ci possa essere: si parla di vita.

Come quando si “affolla” una panchina vuota e dimenticata in un parco, si è meno soli quando si dona un po’ di sé all’altro, quando c’è qualcuno seduto accanto a sè.

C’è chi ha speso tutta la sua esistenza a crearsi un futuro professionale, chi si è messo in gioco creandosi un lavoro dal nulla, chi sì è dedicata in modo incondizionato  come solo una mamma sa fare ai propri figli, chi con le sue mani laboriose e nodose ha fatto sacrifici per assicurare un futuro alla propria famiglia. Storie comuni, niente di inconsueto, niente di eclatante, nessuna sceneggiatura con effetti speciali, eppure tutto è così  coinvolgente,speciale e affascinante.

Tutto è cosi intenso, occhi negli occhi per ritrovare il proprio passato e proiettarsi con forza, nonostante tutto, al domani.

Lo spazio di un piccolo silenzio piacevole tra i rumori della propria mente spesso confusa.

Ci si sente da subito un gruppo, ognuno con il proprio essere è spalla per l’altro, si sorride liberi da paure e incertezze.

Dall’altra parte, poi, ci sono coloro che ogni giorno si occupano di loro. Ci si sente spesso un po’ meno figli e un po’ più genitori. La malattia ha portato via con i suoi segni orientamento, nomi, tempo e spazio ma non è riuscita a cancellare i legami.

Si è ancora lì sull’uscio della porta del Caffè ad aspettare con il suo giubbino stretto tra le mani la propria moglie e compagna di vita, nonostante la stanchezza fisica e mentale.

Si è ancora lì ad attendere con un sorriso il proprio genitore, maestro di vita e gemma preziosa.

Si è li, spesso impotenti, tristi o preoccupati, ma, come mongolfiere tra nuvole bianche, ci si destreggia nel cielo della dimenticanza, insieme.

Non si è soli in questo viaggio di oblii e vuoti, bensì con i propri cari che hanno destinato una stanza sicura del loro cuore, uno spazio dove i ricordi sono alimentati da sensazioni, stati d’animo, profumi e volti e che spediscono  come sul vagone di un treno in corsa al passato condiviso.

Cos’è un  ricordo? E’ qualcosa che hai o qualcosa che hai perso per sempre?

I ricordi sono, secondo me, lo spazio perfetto in cui albergano sentimenti espressi, un ricordo può essere donato come si donano cose preziose, parti di sé, emozioni e parole ma alcune volte può accadere che ciò non avvenga perché irrompe prepotente l’assenza di ricordo.

E allora cosa si fa?

La mente può demolire determinate funzioni, ma il lavoro condiviso e il calore umano possono ricostruire nuove isole di senso in cui dimorare insieme alla malattia, forse in modo anche molto più incisivo rispetto ad un farmaco. Il farmaco, in questo caso, puo’ essere la cura, l’ascolto, il pezzo di puzzle che si incastra in modo perfetto con le proprie difficoltà.

I ricordi, così, diventano nuovamente pagine della nostra vita trascritte nella nostra mente, nel nostro animo e nel nostro cuore.

Non prendiamo altri impegni per i prossimi mesi se non quelli che possono essere racchiuse nello spazio perfetto di un abbraccio, di un sorriso, di una chiacchierata, di uno star bene insieme, di un  caffè e di un ricordo condiviso.

Maria Giovanna Venditti

 

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